POETA

Nella seconda classe del liceo Trinko era a tal punto padrone della lingua slovena da potersi cimentare in poesia.

Essendo sempre ordinato e meticoloso, preparandosi solidamente per ogni attività, andò annotandosi le poesie in un quaderno.

Di questi ne riempì quattro tra il 1880 ed il 1883, che furono presi poi in custodia dal parroco Jožko Kragelj (PSBL II, p. 167), ciclostilati furono riproposti da Irene Lupinc nella sua tesi di laurea Ivan Trinko, življenje in delo  (Ivan Trinko, vita e opere), Udine 1980-81, pp. 311.

Il primo quaderno è intitolato  Slovenske pesmice (Poesiole slovene) e datato 3 aprile 1880.

L’autore doveva allora conoscere abbastanza bene la poesia slovena avendo citato già nella prefazione sei versi di Potočnik sulla passione degli sloveni per il canto, e indubbia fu l’influenza su di lui di Prešeren, Jenko, Gregorčič, Stritar e altri ancora, come pure quella italiana delle sue scuole.

La poesia Vinu (Al vino) si richiama nella forma alla poesia Pod oknom (Sotto la finestra) di Prešeren. Sono in tutto 26 le poesie, amare enunciazioni personali, prove epiche, accuse ai tedeschi di perseguitare i popoli slavi e un appello ai russi di annientare tutti gli oppressori e instaurare il loro potere »dagli Urali all’Adriatico.” (poesia V prihodnost/ Verso il futuro).

E’ ancora maldestro nel lessico, molte sono le accentuazioni ritmiche sbagliate, le elisioni e i termini dialettali. All’epoca ricevette l’indirizzo di un maturando di Gorizia, Alojzij Franko (PSBL I, pp. 385-86), gli scrisse informandolo di scrivere poesie e pregandolo di proporgli delle letture nonché di dare un’occhiata ad alcune delle sue poesie. Il Franko gli rispose prontamente e ne nacque una corrispondenza epistolare. Quante furono le lettere del Trinko, non si sa, del Franko ce ne sono cinque del 1880 e del 1881 e due del 1883, pubblicate da  Jožko Kragelj nel Trinkov koledar 1981.

Dalle lettere veniamo a sapere per la prima volta dell’attività poetica del giovane Trinko, del suo abbonamento alla rivista Kres (Il falò), edita dalla Mohorjeva družba di Klagenfurt tra il 1881-86 e delle sue letture del Koseski di cui lo colpivano “i toni e la lingua altisonante”.

Il Franko gli recensì la poesia V prihodnost (Verso il futuro) dissuadendolo dalla troppa fiducia nel paslavismo perché con una sua affermazione gli sloveni dovrebbero inchinarsi anche al potere russo “e piegarsi davanti al fratello è peggio che farlo davanti ad uno straniero”. Non mancarono neppure consigli riguardanti la lingua.

Il secondo quaderno, Pesmice 1880-81 (Poesiole 1880-81) differisce parecchio dal primo. Contiene un ciclo di 28 poesie piuttosto brevi intitolato Čas (Il tempo), nella forma sono identiche agli Obrazi (Immagini) di Simon Jenko, nei temi invece una toccante espressione di infelicità e tristezza, dato che l’autore deve vivere lontano dalla Slovenia, dove oltretutto c’è discordia, e perché nel mondo ci sono troppo odio ed altre avversità.

A questo punto Trinko aveva trovato le “sue” forme e arricchito i contenuti con nuove metafore prese dalla natura. Era evidentemente soddisfatto delle proprie poesie, perciò apportò solo alcune correzioni e trascrisse il tutto nel terzo quaderno.

Il terzo quaderno (1882) ha sul frontespizio la firma di Trinko in caratteri cirillici, un motto patriottico e in cirillico alcuni versi sulla patria del poeta serbo Pucić e del croato Preradović.

Intitolate Srčni glasovi  (Voci del cuore) sono le poesie del quaderno 2, nella seconda parte il ciclo Mrtve pesmi (Poesie morte), due componimenti più lunghi sui defunti che secondo le credenze popolari ritornano in questo mondo finché non espiano i propri peccati.  

Trinko si ispirò in ciò quasi certamente al poeta italiano Ugo Foscolo e ai suoi Sepolcri  (1807)  che si studiano nelle scuole medie.

Per Trinko si tratta di una forma nuova: dimetro giambico con una sillaba eccedente nel primo e quarto verso, le strofe sono formate da quattro versi, la rima è alternata.

Il quaderno 4 è intitolato Pesmice (Poesiole) ed è del 1883. All’epoca Trinko frequentava il primo anno di seminario. Meritano particolare attenzione tre componimenti più lunghi: Na Predelskem bojnem polju (Sul campo di battaglia del Predil) canta dell’eroismo dei soldati caduti durante la battaglia tra francesi e austriaci durante i tre giorni dal 15 al 18 maggio 1809. Al tema della solidarietà slava è invece dedicato il Samogovor Poljskega pregnanca (Monologo dell’esule polacco), poesia scritta a vent’anni dall’ultima grande insurrezione polacca contro la Russia nel 1863. I russi la soffocarono nel sangue e deportarono molti rivoltosi in Siberia. Questa poesia è stata riproposta dal professor Robert Petaros nella miscellanea EstEuropa I del 1984 dell’Università di Udine con l’aggiunta della versione italiana e di quella polacca di Jolanta Kowalska Durazzano.

Elegija (L’elegia) canta le sventure dell’autore in una visione pessimistica e wertheriana, subendo chiaramente l’influenza di Josip Stritar da lui così stimato da meritarsi un elogio poetico (Borisu Miranu/ A Boris Miran, pseudonimo di Stritar). Il sonetto Porečki cerkvi (Alla chiesa di Parenzo) (sull’arrivo del nuovo vescovo appena ordinato) è dedicato al nuovo vescovo della Diocesi di Parenzo-Pola Alojzij Zorn (Prvačina 1834 – Gorizia 1897), insediato il 14 marzo 1883 e trasferito nello stesso anno a Gorizia  (Trinkov koledar 1981, pp.59-60).

Trinko scrisse così in quattro anni circa 90 poesie, tra le quali alcune piuttosto imponenti. In queste ultime aveva raggiunto un livello qualitativo tale da poterle pubblicare nel 1885 anche nel Ljubljanski zvon, la più importante ed esigente rivista letteraria slovena del tempo.

L’aveva invitato a collaborare il direttore Fran Levec; all’inizio del 1885 Trinko gli inviò Dve pesmi beneškega Slovenca (Due poesie di uno sloveno della Benecia) intitolate Slovo od doma (Addio al luogo natio) e Daleč moram, daleč (Lontano io devo andare, lontano) entrambe dal quaderno 3 delle poesie manoscritte, che poi ricompariranno anche nella successiva raccolta.

In seguito (negli anni 1887-92, 1894-98) pubblicò nel Ljubljanski zvon altre 56 poesie, nel 1887, su invito di Gregorčič, pubblicò 3 poesie nella rivista Slovan, nel 1897 5 nella rivista triestina Slovenka, una nel Dom in svet e una nella goriziana Soča, complesssivamente 68 poesie.

Esortato da Simon Gregorčič e Andrej Gabršček, Trinko si decise di pubblicare una sua raccolta di poesie. Delle poesie già uscite nelle varie riviste ne scelse 18, altre ne scrisse per l’occasione.

I testi vennero riveduti e leggermente corretti dal Gregorčič e l’opera uscì il 15 maggio 1897 a Gorizia nella collana Slovanska knjižnica di Andrej Gabršček ai numeri 60-61, intitolata semplicemente Poezije (Poesie), pseudonimo: Zamejski (D’oltreconfine).

Con un’ode di circostanza Trinko dedicò la raccolta a Jelena del Montenegro, duchessa di Napoli (Jeleni Črnogorski kneginji neapeljski), che il 24 ottobre 1896 aveva convolato a nozze con il principe ereditario di Casa Savoia Vittorio Emanuele.

Le aveva dedicato un libro anche lo scienziato dott. Bruno Guyon (PSBL I, pp. 517-19), nativo della Benecia; i Beneciani infatti consideravano la futura regina d’Italia come la loro naturale protettrice.

Poco prima che nella Collana, l’Ode, tradotta dal Trinko in italiano, era già stata pubblicata nelle udinesi Pagine Friulane, XI.

Nel motto iniziale Moje pesmi (Le mie poesie) sottolinea che erano nate in terra straniera, in un ambiente gelido, ostile; ecco la ragione della loro tristezza e malinconia. Il 25 marzo 1895 scrisse a Vatroslav Holz: “Sono pessimista e penso di non essere lontano dalla verità se affermo che noi sloveni non prendiamo mai la direzione verso tempi migliori e che non avremo mai niente di nostro”. Gli sloveni sono pochi, poveri ed egoisti. “Sono queste le radici e le origini del mio cruccio, del mio pessimismo che permea in vario modo anche le mie poesiole”.

E’ questa la chiave di lettura per il primo ciclo di poesie della raccolta – Razpršeno listje (Foglie disperse) -, composta da 58 poesie nella foggia degli Obrazi di Simon Jenko, di cui 28 già scritte nel 2° e 3° quaderno manoscritto e solamente tre dal 3° di cui due già pubblicate nel Ljubljanski zvon; le altre sono nuove anche se di contenuti simili, toccanti espressioni di un’esistenza soffocante in terra straniera, cui non si può sfuggire, e dell’affetto per i fratelli “d’ Oriente”.

Nelle altre poesie piange la scomparsa degli sloveni del Friuli (Ob stari listini / Davanti a un antico documento), esprime l’amore per la patria, medita sulla morte, sulle discordie tra gli slavi  (Nesloga/Discordia, Slovanski dan/Ilgiorno degli slavi – entrambe sotto forma di una visione), ma le più importanti sono le visioni Oglej (Aquileia)Pad Ogleja (La caduta di Aquileia) sulla gloria e caduta di quella città che per 975 anni era stata centro e guida della vita religiosa degli sloveni. Queste poesie, in tutto 670 versi, rappresentano una novità per la produzione epica della letteratura slovena. Il dott. Slodnjak scrisse: “In questo senso la visione rappresentò un arricchimento della nostra modesta tradizione epica anche se quella di Trinko, in confronto con quella italiana, era fortemente epigonica. Tuttavia i suoi endecasillabi, benché alquanto retorici, erano nel contenuto corposi e sortivano un effetto di vivacità, convincevano anche in confronto alla colta e sciolta versificazione dello Stritar”. (Zgodovina slovenskega slovstva/ Storia della letteratura slovena  III, p. 292).

Dopo la sua pubblicazione nel Ljubljanski zvon, nell’ottobre 1896, Trinko tradusse Pad Ogleja in italiano e lo pubblicò unitamente all’originale sloveno in un opuscolo per il matrimonio di Lucille Clodig, figlia del prof. Ivan Klodič (PSBL II, pp. 70-71), con l’ing. Alessio Herzen (recensioni: Giuseppe Loschi, Il Cittadino italiano 27 ottobre 1896; Ljubljanski zvon 1896, p. 704; Martin Jevnikar, Trinkov koledar 1974, pp. 40-46).

Il libro di poesie di Trinko mise in luce un poeta profondo e sensibile, dai suoi versi traspaiono un amore sviscerato per il popolo sloveno, le preoccupazioni per la sua sopravvivenza ed il suo futuro nonché la non invidiabile posizione di un intellettuale sloveno in un tutt’altro che stimolante ambiente straniero, quale era la Benecia.

L’opera non ebbe critiche particolarmente benevole, i più avvertivano le lacune linguistiche (T. Doksov – Dragotin Jesenko, Ljubljanski zvon 1897, pp. 376, 508-10; A. Medved, Dom in svet 1897, pp. 378-79; Marica Bartol – Nadlišek, Slovenka 1897, n° 11; Slovenski narod 1897, n° 113).

 

La valutazione più giusta la diede forse il prof. A. Slodnjak: “Malgrado le lacune linguistiche sembra che Trinko avesse più estro poetico di quello che potevamo pensare al cospetto delle singole poesie o  di quello che potevano pensare i critici ed i lettori di fronte a tutta la raccolta” (Zgodovina slovenskega slovstva / Storia della letteratura slovena, Slovenska matica, Ljubljana, IV, p.126).

La lingua è invero lacunosa, diremmo piuttosto antiquata. Nel locativo singolare dei nomi neutri viene spesso usata la desinenza –i  al posto della –u: v srci, po sini, na nebi, v morji; nel genitivo duale e plurale dei sostantivi femminili viene usata la desinenza –ij: od stranij, kostij, vasij; con ogni probabilità Trinko mutuò da Aškerc la desinenza stiriana – oj per l’ablativo singolare: zimoj, glavoj, lučjoj, nel nominativo plurale usa la forma breve: sini, vali, zidi; usa il vocativo con la desinenza -e: človeče, brate, sine, Bože; anche per il locativo singolare degli aggettivi femminili scrive -ej: po tihej sobi, besnečej sili; tipico localismo beneciano è la forma tronca dei verbi per la terza persona plurale del presente: kradó, rušé se, se smejó; molto vistosa è la presenza di participi e gerundi in – “č”, più di 130; se teniamo conto delle loro ripetizioni il loro numero è molto maggiore; a fin di ritmo usa la “u” invece della “v”, anche nelle parole composte; più di 50 sono i croatismi, ripetuti sino a otto volte: broj (invece di število), glup (invece di neumen), brez traga (invece di brez sledu), vojnik (invece di vojak); molte parole composte sono probabilmente originate dall’influenza di Gregorčič, diverse sono le accentuazioni sbagliate, lo stesso vale per le elisioni, ecc. (Izvestje, Trieste 1979).

Le critiche di Anton Medved afflissero Trinko al punto da fargli smettere di scrivere poesie. In seguito scrisse solo dei versi di circostanza.